Tradizioni dal Salento: le Tavole di San Giuseppe

tavole di san giuseppe

Il folclore e le tradizioni antichissime perpetrate nel tempo rappresentano una delle maggiori ricchezze del Salento.

Questa terra all’estremità della Puglia, totalmente protesa tra i due mari Ionio e Adriatico, oltre a godere di paesaggi incantevoli e a vantare borghi dall’importante patrimonio storico-artistico, affascina i turisti con tradizioni che hanno origine molto antiche. Impossibile non coinvolgersi e catapultarsi in atmosfere ormai perdute nel tempo.

Si pensi ad esempio alla taranta, la frenetica danza effettuata dalle donne al ritmo di musica, alla danza delle spade di Torrepaduli. Oppure alle Tavole di San Giuseppe, tradizione legata alla festa di San Giuseppe.

L’origine delle Tavole di San Giuseppe

Le Tavole di San Giuseppe sono, come suggerisce il nome, delle tavolate imbandite secondo criteri precisi e rigorosi. L’occasione è la festività in onore di San Giuseppe, il 19 marzo. Questa usanza è legata in particolare ad alcuni borghi salentini, come:

  • Giurdignano (una delle aree italiane più ricche di strutture megalitiche tra menhir e dolmen),
  • Uggiano la Chiesa,
  • Casamassella,
  • Cocumola,
  • San Cassiano,
  • Minervino di Lecce,
  • Giuggianello.

Lo scopo alla base di questa tradizione è il ringraziamento al santo per una grazia ricevuta o la richiesta di un favore.

Le origini delle Tavole di San Giuseppe sono dubbie. C’è chi sostiene che l’usanza di imbandire tavolate in occasione della festa di San Giuseppe sia legata all’omonima confraternita oppure ai monaci basiliani. In entrambi casi, si sarebbe stati spinti da uno spirito caritatevole e dalla voglia di aiutare i più bisognosi.

Un’altra teoria invece coinvolge i profughi provenienti dall’Albania e in fuga dalla guerra contro i turchi. Anche loro usavano celebrare San Giuseppe con tavolate dove si mangiava e si pregava.

Infine, non si può non citare la teoria secondo la quale le origini delle Tavole sino medioevali, quando i signorotti più abbienti, un giorno all’anno, donavano cibo ai più poveri, con tavolate imbandite con ogni ben di Dio.

Nonostante si differenzino un minimo soprattutto per la presenza di qualche piatto diverso, le Tavole di San Giuseppe sono tendenzialmente uguali in tutto il Salento. Nonostante sia una tradizione nata al chiuso nelle case, molti borghi del Basso Salento imbandiscono tavole anche nelle piazze, per mantenere viva questa consuetudine così particolare.

Come si svolgono le Tavole di San Giuseppe

Per prima cosa alla Tavola di San Giuseppe che la famiglia decide di organizzare, devono partecipare da un minimo di tre persone (ossia la Sacra Famiglia con la Madonna, Gesù Bambino e il Bambino Gesù) a un massimo di tredici, i quali rappresentano: San Giuseppe d’Arimatea, Santa Agnese, Santa Maria Cleofe, San Giovanni, San Filippo, San Gioacchino, San Zaccaria, Santa Elisabetta e Sant’Anna. La cosa importante è che il numero dei commensali sia sempre dispari e mai pari.

La mattina del 19 marzo, dopo aver partecipato alla funzione liturgica in chiesa e fatto la comunione, gli invitati alle Tavole di San Giuseppe si siedono, con il capofamiglia (che impersona appunto San Giuseppe) che scandisce i ritmi del pranzo, tra una portata, una preghiera e una litania. Ogni commensale rappresenta una figura religiosa, con tanto di pane a forma di ciambella, con impressa l’immagine del santo, del giglio e del rosario. Al centro di ogni pagnotta vengono poi sistemati un’arancia e un finocchio.

Il capofamiglia, con un colpo di bastone decorato in cima con un mazzolino di fiori (memoria della scelta divina di San Giuseppe come sposo di Maria), dà inizio al pranzo, modulando le pause per le orazioni colpendo delicatamente il piatto con la forchetta.

Sulla Tavola di San Giuseppe, ricoperta da una candida tovaglia bianca decorata da candele e fiori, non devono mai mancare determinate portate legate alla tradizione. Prima fra tutte la pasta coi ceci: in passato questa “massa”, come è chiamata in dialetto, veniva preparata al ritmo incessante della preghiera.

Non devono poi mancare i lampascioni, che simboleggiano il passaggio dalla fredda stagione invernale a quella primaverile, lo stoccafisso tipico delle feste, il pesce (in memoria della figura del Cristo pescatore di anime), il cavolfiore (in memoria del fiore che suggellava il sacro bastone di San Giuseppe) e le cartellate (dolcetti pugliesi e salentini ricoperti di miele, raffiguranti le fasce che avvolgevano il corpo del Bambinello quando è nato nella capanna a Betlemme).